Bohemia
BIRRA BOEMA
Dalla dea Ninkasi al soldato ceco
Švejk
Una dea nata dalle irruenti acque del Tigri
e dell’Eufrate fu generata per soddisfare i desideri degli umani e
appagare il loro cuore: fu la dea-madre della primigenia
bevanda secondo la mitologia cosmogonica sumera, la bellissima
Ninkasi.
“Ninkasi, tu che cuoci il “bappir” nel grande forno, tu che metti in ordine le pile di cereali sbucciati, tu che bagni il malto posto sul terreno, tu, colei che tiene con le due mani il dolcissimo mosto di malto… Ninkasi, sei tu che versi la bevanda filtrata dal tino di raccolta come fosse l’impetuosa avanzata dei fiumi Tigri ed Eufrate”; recitano i glifi incisi su una stele d’argilla risalente a tremila anni prima dell’avvento di Cristo.
Birra Boema - Dalla dea Ninkasi al soldato ceco Švejk
Quando, all’alba primeva dell’umanità, i sumeri costruirono le prime città organizzate nella mezzaluna fertile solcata dai due fiumi, con la prima civiltà nacque il primordiale archetipo di bevanda identificabile in una birra ante litteram molto diversa da quella che oggi conosciamo. Densa, dolciastra, tenebrosa e torbida, ricca di depositi fastidiosi che gli egiziani eludevano con l’aiuto di una cannuccia denominata “chalumacqua”, un sifone in legno con filtro terminale bucherellato che immergevano nei contenitori di ceramica o nelle giare in pietra; in seguito evolutisi in ceramica vetrificata e coppe di faïence a forma di fiore di loto aperto dalle quali ancora non sboccava alcun tipo di schiuma.
Ninkasi - la sumera dea-madre della birra
Nell’antica Grecia la birra era l’unica bevanda alcolica ammessa
durante i giochi olimpici e anche i Romani ne divennero consumatori
e abili produttori consacrandola alla dea Cerere. Più tardi, nel
medioevo, i monaci abaziali rivoluzionarono i criteri di
birrificazione con l’aggiunta del luppolo, eliminando molte erbe,
spezie e bacche fino ad allora usate per aromatizzare la mistura.
Con l’aggiunta del luppolo nacque la schiuma e si allungò
notevolmente anche la vita di conservazione della birra grazie alle
proprietà antibatteriche di questa pianta mitemente sedativa. Altre
due tappe importanti hanno segnato la lunga e intramontabile vita
della birra. Il duca di Baviera, Guglielmo IV°, nel 1516 introdusse la
cosiddetta legge di purezza - “reinheitsgebot” -
codificando gli ingredienti ancora oggi usati. Successivamente la
lista si completò con i lieviti selezionati. Nel 1841 invece Anton Dreher produsse
nella Mitteleuropa la prima birra chiara del
mondo.
Non è un caso che la ultrapremiata boema Pilsner Urquell
sia la birra chiara più famosa. Il rinomato luppolo battezzato
Saaz che abbonda attorno
alla città di Žatec a poca distanza da
Praga è considerato superlativo. La fortuna vuole che le
cristalline falde acquifere di Plzeň, la città per eccellenza
delle birre chiare, abbiano le acque particolarmente dolci,
prerogativa indispensabile per determinare lo stile di birra.
Sebbene a Plzeň si produceva birra già nel 1307, la fama mondiale arrivò
quando il ventinovenne Josef
Groll, figlio irrequieto di un mastro birraio
bavarese alla continua ricerca di nuove esperienze, il cinque
ottobre del 1842 creò per la giovanissima fabbrica
Pilsner Urquell
una magica e segreta miscela color
oro. Puro caso, errore fortuito o ben pensata e ripensata scelta
frutto di tanta esperienza? Non lo sapremo mai.
© Pilsner Urquell
Resta il fatto che gli ingredienti di grande
qualità come l’infiorescenza femminile del luppolo di Žatec e
l’acqua incontaminata di Plzeň, e ancora un saccaromicete segreto
chiamato “Pilsner H”, oltre al
malto più chiaro rispetto alle usanze e mode bavaresi - detto
allora “all’inglese” - unitamente alla fermentazione a temperatura
controllata hanno dato una svolta epocale all’antico mondo della
birra. Il risultato fu una bevanda limpida dallo splendente colore
dorato e che conquistò immediatamente il pubblico nazionale ed
internazionale cominciando dalla Germania e dall’Austria che
scambiavano le loro merci sulla rotta che attraversava la città di
Plzeň. Luogo ideale per assaporare la dorata bevanda fortemente
luppolata è lo storico “U
Kalicha”, a Praga, dove la regina delle birre
“bionde”
viene servita avvolta da un’atmosfera che riporta al periodo del
grande conflitto mondiale evocando le immagini del
“buon soldato Švejk” - amata
figura ironica del milite devoto all’impero asburgico, nel romanzo
di Jaroslav Hašek.
Altre realtà più o meno grandi, persino minuscole chicche nascoste e lontane dai rumori assordanti delle grandi città, contribuiscono a tenere alto il blasone e l’orgoglio nazionale ceco. Un esempio produttivo di sicuro interesse e da visitare in occasione di un viaggio nella Repubblica Ceca è il complesso di Chodovar, risalente almeno al 1573, a Chodová Planá, dove oltre al ricco Beerrarium ci aspetta un vero e proprio Beer Wellness Land. La splendida Krušovice Premium Beer dal 1581 utilizza un mix di prodotti, metodi e tecnologie che, deliziando l’occhio e il palato, seduce gli appassionati soprattutto nella versione scura. Le più profonde tonalità dell’ambra trafitte dalle luci dei tipici locali, gli arredamenti lignei pregni di profumi caratteristici delle antiche birrerie, le abbondanti schiume di colore bianco neve o panna fresca appena montata lentamente spillate nei grandi boccali a contrastare le ossidazioni degli aromi, il persistente sapore più o meno caramellato che indica il grado della tostatura e le brocche da collezione in vetro, ceramica dipinta a mano oppure in ossa di elefante intarsiato trascinano anche i meno esperti in questo mondo ancora maschio e poco edulcorato rispetto alle nobili corti di bacco.
L’amata Master di antica
manifattura, prodotta secondo una storica ricetta tradizionale del
sedicesimo secolo, è altrettanto invitante. Le tre tipologie,
lasciate fermentare nei recipienti esposti ai lieviti spontanei
della cantina, maturano per lunghi periodi. L’etichetta
“Zatý” con 13 %,
indicati in gradi Plato o saccarometrici, è la birra chiara
più amara del mercato ceco e viene proposta come aperitivo. La
versione “Tmavý” a 18 °P, a base di
una speciale miscela di quattro tipi di malto, è corroborante e
digestiva.
Nella vicina Slovacchia, nazione
consorella della Repubblica Ceca, la Steiger, birra
locale per antonomasia, viene prodotta ininterrottamente dal
1473 con la perizia
artigianale di allora. Il colore chiaro, la vivacità sfrenata e il
garbato luppolaggio della antica lager a 10 gradi evocano scenari
di incomparabile freschezza; il finale fruttato, formato dagli
esteri durante la lunga maturazione, lascia immaginare la brezza
mediterranea come se per un attimo fuggente fossimo immersi in un
meraviglioso limoneto sulle pendici terrazzate della Costiera
amalfitana. Il ventaglio dei prodotti odierni soddisfa ogni
esigenza, dall’etichetta “Gold” con
12 gradi alle varietà aromatizzate al lampone, lime o zenzero. La
Smädný Mních,
anch’essa antica birra slovacca di qualità, risalente al
XV° secolo, si produce
come vuole la tradizione tramandata nelle abbazie medioevali
riportando sull’etichetta, con simbolismo allegorico e
storiografico, un simpatico frate assetato della genuina e arcaica
pozione. Le essenze dei frutti gialli degli agrumeti e la più
delicata porzione di luppolina, anche in questo caso, richiamano la
calura estiva per un tuffo rinfrescante e spumeggiante nella
caraffa decorata.
©E.K.
La birra slovacca più conosciuta è la Zlatý Bažant; oggi anche essa asseconda ogni esigenza, dalla più chiara alla più scura, dall’aromatizzata all’analcolica, per salire fino a 24 gradi Plato nella versione “brown”, ovvero, come un vinello beverino a nove gradi e mezzo indicati con il titolo alcolometrico volumico. La più classica della gamma è una pils a 12 gradi che nel sapore amarognolo, nell’esuberanza e nella sovrabbondanza della schiuma ha similitudini con la Pilsner Urquell, ma nel colore quest’ultima rimane imbattibile.
Da provare anche la giovane Šariš; la sua produzione pluripremiata a livello internazionale è di tutto rispetto e la bontà del manufatto è data dalla ricerca degli ingredienti di eccellente qualità. La sua “Premium” a 12 gradi prodotta secondo il procedimento pilsener subisce due fermentazioni a bassa temperatura e l’abbondanza dell’infiorescenza femminile del luppolo dà vita a una schiuma compatta e persistente al momento del consumo. La sua “Red” in edizione limitata non può essere ignorata; incanta ogni intenditore, e non, con le sue meravigliose tonalità del rubino, con il sapore che vira delicatamente al dolce caramello e con la schiuma cremosa e ben aderente che disegna sulle pareti dell’ampio calice una texture di “Merletti di Bruxelles”.
©E.K.
Una delle più curiose bevande analcoliche tipiche dell’ex Cecoslovacchia, che fino a pochissimi anni fa era reperibile quasi esclusivamente alla spina e che oggi viene imbottigliata, si chiama “Kofola”. Era la birra delle donne astemie e degli adolescenti che accompagnavano il capofamiglia in birreria durante la ricerca di rinfrescanti sorsi nelle calde giornate estive. Appena si colmava il piccolo boccale, effluvi leggermente amaricanti simili a quelli della birra invadevano l’ambiente. Anche il colore mostrava fraterne similitudini con la bevanda di malto ben tostata e la frizzantissima, ma evanescente, schiuma caramellata evocava la trama dello zucchero filato. L’amatissima bibita nazionale, unica al mondo, da quando è stata riproposta imbottigliata ha soppiantando la Coca-Cola in Cechia e in Slovacchia. Il suo sapore dolciastro-amaricante, con sentori finali cedrati è la risposta più piacevole e salutare a tutte le bevande gassate della grande distribuzione.
Un’altra curiosità riguardo alle bibite gassate analcoliche che ogni frugoletta slovacca offre da tempo immemorabile alle amiche in occasioni del compleanno, accanto a tranci di torte al cioccolato con panna e fragole, è la “Vínea”; non è altro che succo d’uva, zucchero, qualche acidificante con l’aggiunta di anidride carbonica che da pochi mesi viene prodotta anche in versione rosé. Seguendo gli attuali dettami della moda e dell’ibridazione dei mercati, qualcuno ha recentemente coniato la terminologia “spumante analcolico” per la bibita degli infanti e per tutti i prodotti similari.
Soproni, Borsodi, Szalon, Arany Ászok, fanno onore alla produzione birraria dell’Ungheria nonostante l’antica e ben radicata cultura vitivinicola. Bionde, rosse o brune se ne trovano di ottima qualità anche in terra magiara. Abbinargli preparazioni colorate dalla paprica dolce come la famosa halászlé, zuppa di pesce preparata nei locali caratteristici denominati “csárda” o “halászcsárda” - soprattutto in prossimità del lago Balaton oppure lungo i fiumi Danubio o il burbero Tbisco - è un’esperienza culinaria da non perdere. Frittate o omelette con cipolle, focaccine alle patate o ai formaggi, o soltanto formaggi vaccini più o meno stagionati, a volte affumicati, würstel di maiale, di coniglio di pollo o di tacchino, salsicce fritte nel grasso del maiale, o pesce di acqua dolce impanato all’ungherese con la farina e la paprica dolce insieme a un pizzico di cumino tritato e pepe macinato, poi fritto nell’olio di semi di girasole o per i buongustai nello strutto, sono le più classiche pietanze da abbinare alle birre nella Mitteleuropa.
©E.K.
L’abbinamento più gustoso di una pils dorata è sicuramente con i grasselli fritti resi croccanti in superficie e accompagnati da fettine crude di cipolla rossa simile a quella di tropea, un’abbondante passata di fior di sale e una fetta di profumato pane bianco. È la fine del mondo! La grassezza dei ciccioli e la dolcezza della cipolla viene contrastata dall’amarezza della luppolina, componente ormai indispensabile della birra che riesce a spazzare via ogni traccia di scivolosità e untuosità. L’esplosione incontenibile ma armoniosa dei sapori che permangono lungamente assomiglia alla frizzantissima opera buffa Il Barbiere di Siviglia di Rossini. Una briosa fontana musicale che non vuole lasciare le orecchie del fine uditore, proprio come ritmati tormentoni di sapori che tamburellano senza sosta la lingua e il palato per poi investire prepotentemente la cavità orale. L’eleganza del piatto non è certo da Guida Michelin, ma considerato l’abbinamento nazional-popolare per il cosiddetto “barbaro vino d’orzo”, il risultato è veramente eccelso.
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